In più occasioni abbiamo parlato dei lavori a firma dell’autrice emergente Iunia Valeria Saggese partendo dal suo ultimo libro, “Quel che resta del domani”. Ma come un giovane autore descriverebbe il proprio racconto? Siamo partiti da questo interrogativo chiedendo a Iunia di parlare del libro raccontando un po’ anche cosa voglia dire per lei scrivere.

Da qui nasce “Bugiardino…verità o bugia?”

di Iunia Valeria Saggese

La vita è misteriosa. Alle volte sceglie per noi. E alla fine resta solo quello che abbiamo scelto, non i nostri “avrei voluto”, “avrei fatto”, quelli si perdono nei racconti da una generazione all’altra.

Scrivere vuol dire sfuggire a questa certezza: lasciare di me solo ciò che ho fatto, senza andare oltre.

E così scrivo, né per sopravvivere né per esorcizzare né per dimenticare, ma per puntualità di cronaca. O almeno credo. Oggi penso questo.

Ma forse in ciò che uno fa c’è anche ciò che non fa, e allora tutto questo discorso è inutile perché quello che non c’è si capisce come quello che c’è. O forse no.

Io scrivo: questo è l’inizio. O forse è la conclusione? Allora riformulo: quindi io scrivo.

Vi scrivo di come prendono forma alcune idee.

Al centro c’è sempre l’evoluzione interiore del personaggio o lo scorrere del tempo (che è un tipo di evoluzione esterna) o entrambe le cose: questa è una fissazione, voglio dire IL CAMBIAMENTO. Tutto nasce dal pensiero che rimanere immobili è impossibile, nei sentimenti come nel tempo.

L’obiettivo, dunque, è descrivere il cambiamento. Naturalmente ho a disposizione un infinito immaginario di possibilità da incastrare: Tizio è bambino, adulto, è un animale? Fa un lavoro, ha una famiglia o non ce l’ha? È avventuroso, è pigro, furbo, è fesso?

L’elemento di fantasia, l’invenzione, è funzionale a centrare l’obiettivo: ciò che sono e diventano i personaggi.

E non scrivo mai al di fuori della logica dei sentimenti. Ad alcuni sembrerà strano sentir parlare di logica dei sentimenti ma quando diciamo che “al cuor non si comanda” non facciamo che affermare che il cuore segue la logica dei sentimenti e non del ragionamento inteso come intelligenza comune.

Se l’obiettivo è il cambiamento, parte integrante della mia narrativa include il “non cambiamento”, in quanto due facce della stessa medaglia.

Il punto è che la prima faccia è quella in cui credo, la seconda rientra nell’ambito di ciò che ritengo assurdo.

Questo è il sottotesto a tutto ciò che scrivo.

In “Quel che resta di domani” il protagonista cambia vita ma resta immobile nei sentimenti. Solo quando l’immobilità interiore del protagonista si scontrerà con l’immobilità esteriore della sua casa d’infanzia, abbandonata e quindi ferma nel tempo, emergerà l’assurdità di tale condizione umana e si aprirà la strada per la guarigione. L’anima si guarderà allo specchio, prenderà coscienza e il personaggio farà lo scatto per andare avanti. Ma c’è di più, c’è anche la verità che siamo quello da cui proveniamo e dobbiamo decidere quanto peso questo deve avere nella nostra vita.

“Decidere” vuol dire aver fatto i conti con questa verità.

Nel romanzo a cui sto lavorando il protagonista fa ancora una volta i conti con il suo passato, costretto all’isolamento dalla pandemia. È la soluzione che ho trovato per raccontare la vita ricca di fatti, anche d’interesse pubblico, del mio committente, un manager ora in pensione, che ha contribuito a rivoluzionare il ciclo dei rifiuti.

Insomma, uno può aprire un libro e vederci quello che vuole, è ovvio, anzi quasi mai l’intento dell’autore e la percezione del lettore coincidono.

In fondo è proprio questa la magia della scrittura.

Ma se c’è una nota dell’autore, io la leggo, e poi ci vedo quello che ci voglio vedere.