“Quei bravi ragazzi del Circeo” è un libro documento che richiede una lettura partecipata ed empatica. Gli autori Massimo Lugli, il più celebre cronista di nera, ormai in coppia fissa con Antonio Del Greco, ex dirigente della squadra omicidi, pubblicano un libro impegnativo ripercorrendo la vicenda di cronaca nera divenuto un tragico classico della storia criminale, il massacro del Circeo, che, nel settembre 1975, sconvolse letteralmente la società italiana per l’assurda violenza e inspiegabile ferocia con cui tre giovani romani, militanti di un gruppo di estrema destra, provenienti da famiglie ricche e potenti, rapirono, torturarono e uccisero una ragazza, Rosaria, e ridussero in fin di vita Donatella, all’interno di una villa di famiglia, isolata, a Punta Rossa, nei pressi del promontorio del monte Circeo.

“Quei bravi ragazzi del Circeo” racconta che il male esiste, che può camminare in mezzo ai noi con abiti alla moda, con tagli di capelli freschi di parrucchiere, dentro auto e ville eleganti, fra la ricchezza delle possibilità infinite. Con la consueta abilità narrativa il libro possiede una struttura narrativa molto solida e segue un ritmo incalzante, che contraddistingue la copiosa produzione narrativa degli autori che racconta in chiave romanzesca i fatti di sangue più efferati della recente cronaca che ha coinvolto interi pezzi della società e della storia del nostro Paese, 

Il titolo amaro, quasi sarcastico, racchiude in sé l’ironia rabbiosa nei confronti di privilegiati che, nella convinzione di restare impuniti, hanno violentato e massacrato due ragazze uccidendone una e credendone morta l’altra.
Il lettore viene coinvolto nella vicenda attraverso una scrittura cruda, forte e impattante, che descrive in modo vivido, quasi palpabile, quel periodo della nostra storia in cui ardori e contrapposizione politiche diventavano anche alibi per risse, pestaggi e crimini violenti, funzionali anche per placare pulsioni malvagie e bestiali.
Gli autori, cambiando i nomi dei protagonisti, ci accompagnano dentro la tragica realtà di questa drammatica vicenda raccontandone gli antefatti fino ai fatti crudeli di quel giorno e mezzo di violenza e con tutto ciò che è seguito dopo e dopo ancora fino a chiudere il cerchio.
Ripercorrendo la vicenda dal punto di vista dei colpevoli, il lettore piano piano si identifica con la vittima e la sopravvissuta comprendendone l’orrore vissuto, al di là delle parole che scorrono fra le righe. La narrazione segue inoltre i passi investigativi di inquirenti e giornalisti, quasi delle pause narrative da cui trapela anche una leggera ironia che distrae dall’orrore, senza mai togliere dignità alla tragedia.

Il libro consta in tredici capitoli e un epilogo che prendono in mano il lettore accompagnandolo dentro il buco più nero della storia criminale italiana, spiegando come la lotta politica, l’usura, la ludopatia, la violenza sulle donne, il razzismo sociale, l’ ignoranza e la tolleranza di una criminalità organizzata che si sposano con le pulsioni di borghesi potenti e fuori di testa, abbiano potuto costruire una paesaggio della capitale italiana che fa ancora rabbrividire. La consapevolezza che il male esiste e non ha l’aspetto di demoni ma quello di tre bravi ragazzi che si affacciano sull’ abisso del loro bisogno di uccidere è il tema più forte del libro in cui il lettore s’imbatte più e più volte.
Teso, ritmato, forte dal punto di vista emotivo, raccontato magistralmente, questo romanzo è un’opera che fa riflettere mentre informa, permettendo di ricordare e non dimenticare, anche i conseguenziali cambiamenti scaturiti da quel massacro.

I fatti sono noti, fonte di ispirazione di una vasta letteratura e riproposizione in romanzi (La scuola cattolica di Edoardo Albinati, da cui fu tratto un omonimo film), in serie in streaming.
Eppure, questo durissimo romanzo di Lugli-Del Greco, fornisce altre suggestioni, diversi punti di vista, una ricostruzione quasi giornalistica dello spaccato socio-culturale che negli anni settanta del secolo passato avevano caratterizzato la capitale, Roma, in cui gli opposti estremismi, fasci contro zecche rosse, continuavano a imperversare nelle scuole, nelle piazze e nei luoghi di aggregazione. Anno 1975. Roma e l’Italia intera sono sconvolte dalla notizia di un crimine talmente efferato da risultare quasi inconcepibile. In un piccolo comune della provincia di Latina, tre giovani di buona famiglia hanno rapito e torturato per un giorno e una notte due ragazze, uccidendone una e causando gravi ferite all’altra prima di essere arrestati. Chi sono questi tre aguzzini, e come sono potuti arrivare a commettere un atto così crudele? La verità ha le sue radici nella tormentata vita sociale degli anni Settanta, in cui il culto della violenza e l’ideologia neofascista allungano i loro tentacoli anche negli ambienti più insospettabili…

I tre ragazzi che nel romanzo sono chiamati con nomi diversi dai loro, ma che a loro somigliano in tutto, si muovono nei quartieri blasonati della città di allora: piazza Euclide ai Parioli, Corso Trieste, il Fungo dell’Eur, case di villeggiatura di agiate famiglie di professionisti, Lavinio, il Circeo. Leggendo Lugli e Del Greco non si può non correre al ricordo alla foto scattata dal reporter Antonio Monteforte che diventò il macabro simbolo di quella tragedia che gli italiani non potranno mai scordare. Il volto di Donatella Colasanti, Daniela nel libro, che con il volto stravolto e sanguinante emerge dal bagagliaio della 127 bianca nella quale era stata abbandonata dai suoi torturatori. Non è un caso che proprio uno dei maggiori punti di forza del romanzo è la straordinaria capacità di rappresentazione “fotografica”degliavvenimenti.


L’originalità della narrazione si esprime anche attraverso la personalità e la vicenda professionale/ personale del commissario Fortunato Achei, voce narrante della storia, che colpito violentemente ad una spalla da un sampietrino durante uno scontro tra bande politiche che gli lesionerà l’arto a vita sarà lo “sbirro” che per tutta la sua lunga carriera in polizia inseguirà il latitante, che storicamente è Andrea Ghira, sfuggito alla cattura nella notte in cui gli altri due assassini furono catturati in modo quasi fortuito dallo stesso Achei. I tre si erano fermati in pizzeria, affamati dopo le torture feroci inflitte a due innocenti, disprezzate perchè provenienti da mondi alieni, da “Coattonia” (termine dialettale e volgare di cui Lugli si serve opportunamente)ma insaziabili anche nella loro violenza fascista erano venuti alle mani con tre “rossi”. Accorsi sul posto dopo che una guardia giurata aveva sentito una sorta di flebile miagolio provenire dal bagagliaio di una Fiat 127 bianca parcheggiata nel quartiere Trieste, aperto il quale avevano trovato le due ragazze, una morta “Rossana/Rosaria” e in fin di vita “Daniela/Donatella” avvolte nei sacchi neri dell’immondizia. Tutta la vicenda professionale di Achei, uomo solitario e determinato, si intreccia con quella di Fabio Corsi di Repubblica, il “nerista” più quotato nel panorama dei cronisti dei giornali nazionali, sempre sul pezzo, con i contatti giusti, che con un fiuto da segugio riesce ad arrivare per primo alle notizie conoscendo ambienti e dinamiche della Roma criminale raccontando retroscena, misfatti, alleanze e coperture quasi anticipa la storia futura del crimine romano. Troviamo una preziosissima nota a fine libro con cui i due autori ci offrono un’ulteriore chiave di lettura di quest’opera. Si è ritenuto, plausibilmente, che questa tragedia di cronaca abbia attirato un’immediata attenzione da parte dell’opinione pubblica non solo per la ferocia del delitto, ma anche perché, plasticamente, rappresentava e raccontava la divisione netta ed evocativa tra i figli di una borghesia spaventata e decadente e le figlie di una classe popolare in arrestabile ascesa.

Oltre a questa lettura sociologica Lugli e Del Greco hanno voluto tratteggiare quel clima politico che è diventato lo spartiacque tra un’epoca di protesta in cui la violenza era una degenerazione patologica a un’altra nella quale le armi, la violenza e i massacri diventano quasi la normalità nello scenario urbano, ponendo le basi per la stagione eversiva più cruenta e crudele che l’Occidente abbia mai conosciuto. In quella notte di fine estate del 1975 che ha preceduto di poco più di un mese un altro efferato omicidio, quello di Pier Paolo Pasolini all’idroscalo di Ostia, è come fosse stato travalicato un limite, aprendo un varco a quella scia di sangue e violenza che sarebbe durata anni. I due autori non lesinano particolari, spiegano meccanismi delle indagini poliziesche, intercettano atmosfere, climi politici, servendosi di un linguaggio incalzante, avvincente ma tragicamente realistico.
Non si può tralasciare la commozione che suscita il ritratto degli anni vissuti dalla sopravvissuta Daniela/Donatella, eroina di una storia inimmaginabile, i cui danni psichici sono stati irreversibili e l’hanno condotta a morire precocemente. Troppo dolore per le atrocità che in giovane età hanno segnato per sempre la sua vita, che gli autori hanno raccontato con attenta delicatezza.